Seguire una corretta alimentazione è una pratica che contribuisce a mantenere salute e benessere, raccomandata per ridurre il rischio di malattie e migliorare la forma estetica del corpo, per cui la capacità di non cedere incondizionatamente al piacere del cibo è generalmente considerata una virtù.
Ma a volte la riduzione e il controllo eccessivo della propria alimentazione conducono ad esiti patologici, dapprima da un punto di vista solo psicologico, e in seguito anche da un punto di vista medico, fino a rappresentare, nei casi più gravi, un serio pericolo di vita che rende inevitabile l’ospedalizzazione.
Le adolescenti e giovani donne in particolare sono le più esposte al rischio di cadere nella pericolosissima spirale innescata dal rifiuto del cibo, che può portare, se non fermata in tempo, alla vera e propria anoressia nervosa. Ma qual’è l’obiettivo che si vuole raggiungere, a cosa serve, quale vantaggio porta la ricerca di una eccessiva magrezza e come mai diventa così tenace?
Diversamente da altre problematiche psicologiche, qui tutto sembra nascere da un atto volontario: la deliberata decisione di non mangiare, perdere peso, resistere, controllare.
Nel momento in cui si comincia a ridurre l’apporto calorico per dimagrire, nessuno mai penserebbe di cadere nell’anoressia. Eppure tante volte ci si finisce; intrappolate, rinchiuse, sfinite dalla lotta tenace ed estrema contro il cibo. Una lotta quotidiana che si contorna di paure, rituali, conteggi, evitamenti, controlli, inquietudini, scontri, che finiscono per caratterizzare ogni giornata. Il cibo diventa una ossessione. Da un atteggiamento iniziale di controllo volontario della propria alimentazione si arriva ad essere sempre più soggiogati da quello stesso atteggiamento volontario che, alimentando un insieme di convinzioni, percezioni e paure, diventa un tiranno feroce che detta le sue leggi: mangiare è male, aumentare di pochi grammi è spaventoso, il piacere del cibo è vergogna, la forma del proprio corpo è ripugnante. E accade così che, per non sentire le spiacevoli sensazioni interiori e gli intollerabili sensi di colpa, si fa ricorso ad un ulteriore incremento della propria forza di volontà per sconfiggere l’onnipresente desiderio di mangiare, alimentando un circolo vizioso pericolosissimo che rafforza sempre più quella stessa volontà che tenderà a diventare cieca e distruttiva. Se, nelle fasi iniziali, il senso di fame è il nemico da sconfiggere per mantenere sotto controllo la propria alimentazione, è chiaro che, aumentando la capacità di controllo e quindi riducendo l’alimentazione, anche il nemico – il desiderio di cibo – essendo continuamente frustrato diventa proporzionalmente più forte e spaventoso, inducendo la necessità di ricorrere ad una forza di volontà ancora maggiore per contrastarlo, procedendo così verso una lotta disperata e sfiancante.
La forza di volontà, il nostro più prezioso alleato per guidarci nella vita e raggiungere traguardi si è completamente travisata, dirigendosi spietatamente contro il corpo ed il suo legittimo bisogno di nutrirsi.
Non meraviglia perciò scoprire che le anoressiche manifestano una forte opposizione nei confronti dei tentativi di guarigione, proprio perché la volontà di non mangiare si è via via rinforzata fino ad assumere l’aspetto di una legge che non può più essere messa in discussione, a causa di quelle che vengono percepite come le terribili conseguenze di un eventuale cedimento.
Per comprendere meglio questo meccanismo si può ricorrere ad una metafora. E’ come se nel tempo si fosse costruita una diga fatta di forza di volontà, per arginare il senso di fame rappresentato dall’acqua che si vuole controllare. Man mano che la costruzione della diga cresce, parallelamente aumenta la quantità di acqua che viene intrappolata e che si accumula sempre di più. Nel momento in cui si dovesse pensare all’ipotesi di smantellare la diga, la conseguenza che viene percepita è quella di una inondazione catastrofica che spazzerebbe via qualsiasi tentativo di controllo, lasciando la paziente nella sensazione terrificante di perdere qualsiasi potere ed esserne travolta.
Nei comportamenti anoressici non ci troviamo di fronte ad una condizione in cui la volontà è soggiogata, come in altri tipi di problemi psicologici in cui accade che si viene sopraffatti dalla intensità di emozioni o comportamenti indesiderati, contro cui ci sentiamo impotenti. Qui il desiderio di non mangiare, per essere realizzato, fa ricorso proprio alla forza di volontà, la quale viene continuamente nutrita e rafforzata dalle soddisfazioni ottenute attraverso i successi nel riuscire a perdere peso. Per cui più si perde peso più aumenta la sensazione di forza e di dominio sul corpo e i suoi bisogni. Più la volontà di non mangiare cresce e si rafforza, più vengono vissute come intollerabili le tentazioni del cibo, gli sgarri, le debolezze. E anche quando, ormai sprofondati nella sofferenza e nel disagio, si riconosce di avere bisogno di aiuto, la volontà si oppone automaticamente e strenuamente ad ogni tentativo di alimentazione imposto da altri.
Per la paziente, uscire dal comportamento anoressico è paradossalmente una sconfitta, un piano fallito, un cedimento della propria volontà, un segno di debolezza dell’io.
Solo quando si comincerà a percepire come un successo il riuscire a resistere alla tentazione dell’astinenza, allora si potrà procedere verso la guarigione.
Anche se fortunatamente non sempre il sistema percettivo-reattivo dell’anoressica conduce alle estreme conseguenze del rischio di vita, anche nelle forme meno gravi i meccanismi di base sono gli stessi. La volontà di soggiogare il corpo, i suoi bisogni, le sue emozioni e i suoi desideri conduce ad un atteggiamento che si potrebbe definire ascetico di lotta della forza di volontà contro il corpo sensiente, quel corpo che sperimenta sensazioni, che sente piacere o che prova dolore.
A prescindere dal motivo cosciente per cui si è deciso di limitare l’assunzione di cibo, ciò che si scopre gradualmente e che inebria è la sensazione di purezza, di forza, di sicurezza, di potenza nel contrastare non solo il senso di fame, ma anche le altre emozioni e i bisogni del corpo. E se le cose nella vita vanno male, se ci sono sofferenze, insicurezze, ansie o inquietudini, si scopre di poter trovare rifugio e protezione nella capacità di astinenza dal cibo, principale ed a volte unica risorsa indiscutibile che si pensa di possedere a dimostrazione del proprio valore.
Il corpo è centrale in tutta la problematica dell’anoressica: il modo in cui lo si percepisce, come lo si vive, quello che il corpo fa sentire, quello che il corpo esprime. Il corpo è qualcosa che bisogna far tacere e ridurre ai minimi termini. Perché, se il corpo è sano e nutrito, sente emozioni e sensazioni, piacere e dolore, e questo viene vissuto come intollerabile.
A volte la sensazione di potenza e forza che proviene dalla vittoria sulla fame è una scoperta che avviene per caso, magari in seguito ad un percorso di dieta, ma che poi non si riesce più ad abbandonare nel momento in cui comincia ad essere vissuta come la propria arma segreta, la tecnica efficace per tenere a bada ogni emozione negativa ma anche per tenersi al riparo dai rischi delle destabilizzanti sensazioni piacevoli. La volontà di non mangiare diventa l’armatura che può proteggere da ogni dolore e delusione, specialmente in ambito affettivo, relazionale e sessuale. Si desidera in qualche modo restare puri, immacolati, non corrotti. Ciò che si deve proteggere è la fragilità dell’anima, vissuta come separata dai bisogni del corpo, che è invece in realtà il tramite naturale imprescindibile per fare esperienza di emozioni, sensazioni e desideri.
Ci possono essere motivi occasionali e più superficiali che favoriscono l’ingresso nell’atteggiamento anoressico, come può essere ad esempio l’imitazione di modelli femminili di successo, l’inizio di una dieta necessaria per perdere peso superfluo, il confronto con la propria madre a sua volta molto attenta all’alimentazione, il senso di insicurezza nel rapporto con i pari; ma ce ne possono essere anche altri più profondi, come l’esistenza di vissuti emotivi difficili da affrontare e che hanno radici nella storia relazionale della paziente e nella rete dei suoi rapporti familiari significativi; ad esempio la sensazione di non essere amate ed accolte, frustrazioni ripetute, senso di solitudine e di incomprensione continuative, fino a vissuti di maltrattamenti, traumi o veri e propri abusi. Ma in ogni caso, ciò che alimenta la spirale perversa resta sempre la sensazione di forza, potenza e protezione che deriva dal riuscire a soggiogare i bisogni e le emozioni del corpo.
L’altro elemento decisamente centrale in tutte le problematiche anoressiche e che contribuisce a rendere particolarmente complesso il lavoro terapeutico è l’alterazione dell’immagine corporea, che appare essere una conseguenza del disturbo stesso. La forma del corpo non viene più percepita in modo corretto, ma viene distorta attraverso lenti deformanti che ne alterano sempre più i contorni man mano che si progredisce nel disturbo.
E’ per questi motivi che gli interventi esclusivamente medici di alimentazione forzata in genere falliscono. La paziente vive il periodo di ospedalizzazione come una violenza ed una forzatura al suo sentire, che non cambia né la dispercezione dell’immagine corporea, né i vissuti interiori dolorosi da cui ci si difende con la corazza anoressica. L’apporto della psicoterapia è per questo sempre necessaria.
Va tenuto in debito conto che nelle terapia delle giovani anoressiche è di primaria importanza la relazione con il/la terapeuta. La paziente ha bisogno di sentire che può fidarsi della sua guida, perché per lei si tratterà di aderire al progetto di intraprendere una strada che percepisce come molto pericolosa, ma che è necessario percorrere per poter fare gradualmente esperienza del fatto che la sua vita sarà migliore e più libera senza la corazza e che lei potrà imparare a fronteggiare le emozioni sgradevoli e gestire quelle piacevoli senza avere più bisogno di una armatura così pesante e ingombrante come l’armatura anoressica, che fondamentalmente è una prigione che mantiene lontani dalla vita reale fatta di emozioni, sentimenti e desideri.
Solo quando, infine, la necessità di ricorrere a tale corazza sarà meno pressante, anche la dispercezione dell’immagine corporea allenterà la sua presa e l’immagine del proprio corpo potrà ritrovare gradualmente la giusta dimensione, favorendo così un senso di maggiore serenità ed integrazione.
Le problematiche che rientrano dei Disturbi del Comportamento Alimentare, allorquando sussiste una marcata componente di tipo anoressico, sono in generale complesse e possono manifestarsi in diverse varianti, accompagnandosi anche a fenomeni accessori come abbuffate, condotte di eliminazione, eccessivo esercizio fisico, comportamenti autolesionistici.
Sarà per questo sempre essenziale capire il processo disfunzionale nella sua interezza e comprendere a fondo i vissuti individuali, al fine di seguire un percorso personalizzato che si adatti alla specifica situazione.
E’ inoltre molto importante per le pazienti e per i familiari, al fine di una prognosi positiva, che vengano individuati quanto prima i segnali che evidenziano un sistematico rifiuto e lotta con il cibo, in modo da ricorrere ad un aiuto specialistico quando la situazione non si è ancora cronicizzata e poter quindi intervenire prima dell’instaurarsi delle spirali perverse di cui si è parlato.